“La parola d’ordine? Ogni giorno, ricominciare”
“Anno 1999, in via dell’Istria 55 iniziava, quasi per caso, quella che sarebbe stata l’avventura che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita, come uomo e come professionista.
Il portone d’entrata era di legno, immensamente pesante, come posto a custodire qualcosa di prezioso. Solo più tardi avrei capito veramente qual era il tesoro: i giovani che abitavano ogni giorno quella casa.”
Inizia così l’intervista di Paolo Ravalico, formatore nel nostro centro da 24 anni.
Come Ciofs-fp Trieste abbiamo scelto di condividere il suo pezzo di storia, lui che ad oggi è una delle persone appartenenti al nucleo delle origini.
Ma chi è Paolo? Lo possiamo definire così: uomo – appassionato.
Ebbene sì, uomo per quei tratti di paternità e di custodia che ha nei confronti dei ragazzi e dei formatori con cui collabora, sapendo tenere quella giusta distanza affinché l’altro possa compiere il passo in autonomia, ma mantenendo sempre uno sguardo vigile, pronto ad intervenire.
Appassionato: di “Sabi”, sua sposa da 20 anni, di Sofia, Stefano e Luca, i suoi tre amati figli. Appassionato dei giovani che quotidianamente incontra, che forma e da cui si lascia formare; appassionato del basket, che per lui non è solo uno sport ma uno stile di vita.
Passione che brucia con quel modo solare e scanzonato allo stesso tempo, in equilibrio tra profondità e leggerezza, capace di passare dalla battuta sfidante al pensiero critico che ti scombina le carte in tavola.
Paolo è arrivato al Ciofs portato, quasi per caso, da sua zia che conosceva la direttrice del tempo: suor Stelia Bilinich, donna forte e autorevole.
Laureato in statistica, stava cercando il suo primo lavoro e iniziò proprio come formatore di matematica.
Il suo arrivo segnò un grande cambiamento nella fisionomia del centro poiché, fino ad allora, le insegnanti e gli studenti stessi erano solo di sesso femminile.
Questo cambiamento ne vide tanti in seguito: la possibilità di iscrizione anche ai ragazzi, successivamente l’accoglienza di giovani in difficoltà con certificazione e in seguito l’arrivo dei minori stranieri non accompagnati (MNSA).
A tal proposito ci dice: “Ho visto il nostro centro cambiare: sono il primo uomo entrato al Ciofs, nessun allievo e nessun insegnante prima. Fin dall’inizio è stata un’opera prettamente femminile ad oggi è un’opera eterogenea, ricca di volti, di tante nazionalità, di diversità. Inoltre i colleghi oggi sono sia maschi che femmine, un cambiamento radicale.”
In tutto questo, però, alcuni pilastri sono rimasti saldi: “in questi anni il sistema preventivo di don Bosco è rimasto il mio punto fermo. Mi ha sempre colpito la figura di questo santo torinese: dal nulla ha costruito tutto quello che vediamo attorno a noi. Un esempio per me.” Subito dopo aggiunge, chinando un po’ il capo a destra in segno di tenerezza: “Ho portato avanti gli insegnamenti che mi ha dato suor Stelia: lei è una delle persone più importanti della mia vita. Mi ha insegnato l’importanza dello stare in mezzo ai ragazzi nel tempo informale, costruendo con loro un rapporto non di amicizia ma di apertura, di predisposizione all’ascolto, gettando le basi affinché ci sia confidenza e fiducia.”
Mentre torna con il pensiero a questi ricordi si vede nel suo viso un sorriso, a tratti smorzato dalle emozioni più diverse che sgorgano dal cuore: gioia, delusione, speranza, incertezza, grinta.
“In questi 24 anni ho incontrato vite di molti ragazzi, spesso segnati da situazioni di povertà e di fragilità importanti: genitori assenti, utilizzo di droghe, inizi di depressione, incapacità di costruire un futuro diverso (e migliore) dal reale in cui erano immersi.
Allo stesso tempo però ho accompagno giovani su cui, a prima vista, non avrei scommesso niente, ma poi, giorno dopo giorno, sentendosi amati, sono fioriti. Sì, fioriti! Allora ho toccato con mano quanto diceva don Bosco “che i giovani sappiano di essere amati”. Questa è la chiave, questa è la svolta: farli sentire voluti bene, per quello che sono, partendo proprio dal punto in cui si trovano.
Oggi sento la fatica fisica di fare una lezione dopo l’altra, sarà anche l’età forse., ma la gioia di stare con questi ragazzi, dando loro una prospettiva nuova di futuro mi anima nuovamente.”
Come un fiume in piena aggiunge: “Per me stare al Ciofs non è solo un lavoro ma una vera e propria missione. Hai capito bene? Una missione! Sento che posso incidere, nel bene o nel male, nella vita di questi giorni per questo devo essere responsabile di ciò che dico loro, delle parole e dei gesti, condividendo con i miei colleghi l’orizzonte verso cui portare il ragazzo. I ragazzi non sono “miei” ma sono “nostri”, sono il germoglio che ciascun formatore, con le proprie caratteristiche, è chiamato a coltivare.”
Un’esperienza come quella del Ciofs, fatta e fondata nella relazione richiede consapevolezza e conoscenza di sé, per capire quali sono i propri limiti e potenzialità da mettere in gioco, per saper leggere e ridimensionare i graffi che spesso i ragazzi feriti possono provocare per difendersi.
Oggi i nostri giovani hanno bisogno di uomini e donne adulte, solidi, capaci di stare di fronte all’altro con umiltà e fermezza per cercare insieme solo il bene.
A proposito di questo Paolo ci racconta: “nello stare qui mi sono conosciuto come persona: ho toccato con mano il desiderio di formare, affinando sempre più l’arte della maieutica, cioè aiutare il giovane a portare alla luce i pensieri e la verità presenti dentro sé stesso.
Anche con i colleghi ho scoperto qualcosa di me, come la capacità di trasmettere serenità ed equilibrio, cercando di “stare sul pezzo” in modo razionale e allegro. Se ti agiti non concludi nulla.”
È molto bello ascoltare questo pezzo di storia, quanto vorrei poter rappresentare le sfumature di colore che emergono dal gesticolare, dalla luce negli occhi nel raccontare, dal tono della voce che cambia a seconda del ricordo che affiora. Com’è bello potervi raccontare una vita che è vissuta, non perfetta, a volte stanca, appesantita dal tempo e segnata ma vissuta.
Ho chiesto a Paolo se ha una parola chiave da lasciarci e dice: “Ogni giorno si ricomincia. Può capitare qualsiasi cosa, qualsiasi successo o insuccesso, ma ogni giorno è una pagina bianca da scrivere con te stesso, con i giovani, con i colleghi. Non rimani attaccato a rancori e malumori ma provi a darti e dare una nuova possibilità con il sorriso.”.
Penso che non sempre sia facile ricominciare, richiede un cuore libero, attaccato al bene e alla crescita dell’altro e non alla propria gratificazione. Al centro c’è il ragazzo, in particolare, e con lui si riparte per stendere i colori di una tela chiamata Vita.
“Caro collega che lavori in un Ciofs, sia che tu abbia iniziato da poco o da anni, ti auguro di divertirvi, tanto! Di spendere il tuo tempo con i ragazzi, utilizzando la didattica come strumento di relazione e non come scopo unico dell’essere formatore. Buon Cammino, Paolo.”
Autore: Sofia Zanardo e Paolo Ravalico (testimone privilegiato)