Un’aula grande un sogno

Un’aula grande un sogno

CIOFS, via dell’Istria 55, marzo 2024. Una giornata come tante di una classe prima. Non è difficile tornare con la mente a quel periodo. Quel periodo, invece, è stato molto difficile, irrequieto, irruento.

L’attenzione degli studenti era vicina allo zero, il rispetto delle regole sottozero, tanto che in pochi giorni, quattro allievi di quella classe sono andati incontro a gravi provvedimenti disciplinari.

Molti formatori cominciavano a rendersene conto: l’aula era troppo angusta per contenere questi ragazzi, i loro sogni, i loro desideri di una libertà e di un futuro, che lì, tra quattro mura, non vedevano. Con tutto che “aula” non significa solo lezione frontale, non significa stare seduti sei ore di seguito. Aula è anche relazione di gruppo, vuol dire partecipazione, comporta un “fare” attivo. Ma quando hai interiorizzato l’idea di scuola come prigione, non è l’ora d’aria a farti ricredere: l’imperativo è fuggire. Come istituto, abbiamo deciso di portarci avanti: abbiamo pianificato noi la loro evasione, creando un progetto che rispondesse al loro bisogno di uscire.

Andare fuori non significa solo cambiare luogo fisico, ma mettersi in relazione con altri spazi e contesti, dare prova del proprio agire in modo trasformativo verso l’altro e l’altrove. In altre parole, avere un impatto sociale e sperimentare la propria cittadinanza attiva. Uscire, insomma, è tutt’altro che una passeggiata.

In questo caso, l’altrove era particolarmente vicino, al numero 102 di via dell’Istria. Gli Amici dei Centri Anziani per l’Aggregazione Rionale (ACAAR), sono infatti nostri dirimpettai: è sufficiente attraversare la strada per incontrare Claudio Piuca – il referente del Centro Marenzi – insieme a gruppi di signore e signori che giocano a carte o conversano sotto la pergola, forse cercando anche loro una forma di evasione.

Presso tale centro, il 21 marzo c’è stato un sopralluogo, a seguito del quale i docenti incaricati e il referente del Comune hanno condiviso l’idea di rinnovare gli spazi esterni del Marenzi con quel tocco di colore e creatività che solo i giovani possono dare. Il 3 aprile, le ragazze e i ragazzi erano già all’opera.

Il progetto “Casa comune”, portato avanti dalle formatrici Pacchione e Zanardo per la parte ideativa e operativa, insieme al coordinatore Scala per la parte amministrativa, è stato effettuato, tra progettazione e realizzazione, in 80 ore di lavoro, alcune delle quali hanno coinvolto anche altri insegnanti. Gli allievi, occupati dalle due alle quattro ore ogni giorno, sono stati parte attiva di tutte le fasi del progetto, applicando concretamente le discipline professionali del loro indirizzo: hanno valutato le risorse necessarie e i relativi costi, creato del materiale pubblicitario, messo in atto attività di autofinanziamento come il lavaggio auto e la vendita di piantine.

Per rendere il progetto economicamente sostenibile, la scuola ha chiesto l’aiuto di alcune aziende sul territorio. Senza il supporto di Stokovac che è stato fornitore e donatore, di Kras che ha concesso l’uso di alcuni strumenti e offerto parte del rinfresco, di Brico, Obi e Zanutta che hanno creduto in “Casa comune” e fatto importanti sconti, i ragazzi sarebbero ancora a lavare macchine in cortile.

Recuperato quanto necessario, tutti si sono dati da fare a ripulire e tinteggiare i muri, a recuperare e rinvasare le piante e a trasformare il giardino del Centro Anziani secondo il loro progetto.

Un mese fa, il 24 maggio, si è svolta l’inaugurazione, in occasione della quale le allieve e gli allievi coinvolti hanno illustrato il loro lavoro all’assessore alle politiche sociali, alle aziende sponsor, al personale della scuola e alle persone che usufruiscono del posto. È stato commovente sentirli parlare della soddisfazione di portare a termine insieme un lavoro fatto bene, della consapevolezza di una crescita dal punto di vista della motivazione, della disciplina e della capacità di canalizzare positivamente le loro energie.

Chi scrive ha potuto constatare di persona gli effetti positivi, in classe, di quanto è stato realizzato. Al sottoscritto, così come ad altri che null’altro vorrebbero fare nella vita se non insegnare, per molto tempo un’aula scolastica è stata sufficiente a contenere i propri sogni. Ma non si finisce mai d’imparare, ed è ora che si diffonda tra tutti coloro che lavorano nella scuola la ferma convinzione che – anche quando non ci sono difficoltà così importanti come quelle che ci hanno spronato a dar vita a questo progetto – quattro mura non bastano più.

Jacopo Berti